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ECOLOGIA - AMBIENTE
Proteggiamo Monza dal Lambro
"Casse di espansione" in difesa della cittą
di Pompeo Casati

L'inondazione del 1976

L'inondazione del 1976 in via Aliprandi

Gli eventi meteorologici che in quest'autunno hanno interessato soprattutto la Valle d'Aosta, il Piemonte la Lombardia e la Liguria, provocando colate di detriti, frane e inondazioni, con ripercussioni lungo tutto il corso del Po, hanno causato anche piene del Lambro che i giorni 15 ottobre, 6 e 17 novembre ha minacciato tracimazioni in città.
In occasione di queste calamità si è discusso della necessità di progettare «casse di espansione» e di realizzare quelle già progettate. Le casse di espansione non sono sportelli bancari o nuovi carrozzoni mangiasoldi, sono invece aree a lato degli alvei dei fiumi nelle quali far defluire le acque di piena che vengono così immagazzinate temporaneamente ed in parte reimmesse in quantità controllata nel fiume un po' più a valle.
La stampa locale ha insistito sul ruolo svolto dal Parco di Monza dove, presso il ponte delle Catene, è stato deliberatamente aperto un varco nell'argine del Lambro, per consentire ad una certa quantità d'acqua del fiume in piena di uscire dall'alveo, inondando un'area disabitata ed evitando guai maggiori al centro storico. Il Parco in questo caso è stato indicato con un po' di enfasi come "salvatore" della città dall'onda di piena del fiume.
L'uso di una parte del Parco quale cassa di espansione per il Lambro è stata proposta da chi scrive in più occasioni, ed illustrata in una pubblicazione del 1986 (L'acqua nel territorio di Monza - Dipartimento di scienze della Terra dell'Università degli studi di Milano). Lo spunto per la proposta fu l'osservazione di quanto era accaduto nell'ottobre 1976 quando il Lambro uscì dall'alveo ben due volte: all'inizio ed alla fine del mese. Per inciso l'ottobre 1976 è al secondo posto tra i mesi di ottobre più piovosi nell'area milanese, su un arco di osservazioni di 234 anni, come risulta dalle misure registrate dall'osservatorio di Milano-Brera a partire dal 1764. In quel mese caddero 374 mm di pioggia, inferiori solo ai 376,3 mm dell'ottobre 1872 (1 mm di pioggia corrisponde a 1 litro su 1 metro quadrato).
Dopo le precipitazioni del 1976, in alcuni punti dell'area a Nord di Milano, la falda freatica si è alzata in breve tempo anche di oltre 10 metri. Orbene, nel 1976 fu allagata l'intera parte bassa del Parco, quella che si sviluppa ai lati del Lambro.
Visto che nel corso di simili eventi meteorologici il Parco viene comunque allagato, vale la pena di programmare dove far espandere le acque di piena del fiume. Ma una programmazione di questo genere richiede di individuare con precisione l'area da inondare ed il volume dell'acqua che vi si può far affluire. In altri termini occorre delimitare un bacino che deve essere arginato, altrimenti l'acqua tracimata dal Lambro può uscire ugualmente dal Parco, come è appunto capitato nel 1976, quando, sfondato il muro del Parco e quello dalla parte opposta di via Boccaccio, l'onda di piena ha investito la casa di via Cantore 2 allagandone completamente cantine e box ed arrivando all'altezza di un metro e mezzo al piano terreno, con grave rischio per gli occupanti. In quell'occasione si sono viste le bianche poltrone dell'atrio navigare sulle acque ribollenti del Lambro con un povero gatto che si teneva in equilibrio su una di esse!
Nella proposta elaborata nel 1986, l'area inondabile è quella a valle di viale Cavriga e comprende anche una piccolissima parte del giardino della Villa Reale, quella adiacente alla via Boccaccio. L'area è quasi totalmente delimitata da scarpate naturali e solo alla sua estremità meridionale richiederebbe la costruzione di un terrapieno di sviluppo molto ridotto, all'interno del Parco e della Villa, a ridosso del muro di cinta adiacente alla Via Boccaccio.
L'altezza dell'argine dovrebbe essere fissata in relazione al volume d'acqua che si vuole trattenere nella cassa di espansione; data la morfologia dell'area il terrapieno dovrebbe risultare poco rilevato, totalmente inerbito ed eventualmente consolidato con opportune piantumazioni: l'alterazione ambientale causata da un manufatto di questo genere risulterebbe molto ridotta. Sfioratori opportunamente ubicati sulla riva del Lambro dovrebbero permettere la fuoriuscita nella cassa di espansione di una parte dell'acqua di piena quando raggiunga una predeterminata altezza nell'alveo. Scaricatori dovrebbero invece provvedere a far rientrare nel Lambro l'acqua tracimata nella cassa quando raggiunga il livello prefissato.
Con questa operazione si può trattenere una certa quantità d'acqua del Lambro in piena, evitando che invada la città, facendola rientrare lentamente nel fiume con lo scaricatore. Nella cassa, una parte dell'acqua si infiltrerebbe nel sottosuolo e una parte evaporerebbe nei giorni successivi all'inondazione.
Risulta evidente che per la predisposizione di una simile cassa di espansione i manufatti da realizzare sarebbero davvero pochi e l'alterazione ambientale minima. Oltre alla costruzione di un argine quasi invisibile per la sua ubicazione a ridosso del muro di cinta e per la sua scarsa elevazione, non dovrebbe destare preoccupazione lo strato essenzialmente di limo lasciato dopo ogni esondazione: in caso fosse molto abbondante potrebbe essere comunque rimosso. Inoltre, almeno stando alle statistiche, le occasioni di dover usare quest'area del Parco come cassa di espansione, dovrebbero essere piuttosto rare.
L'area indicata non è l'unica del Parco che può essere inondata in caso di tracimazione del Lambro, come si è visto nel 1976, quando fu allagata anche la parte della valle del Lambro a monte di viale Cavriga. Ma adibire a cassa di espansione anche il tratto a monte del viale non pare possibile in quanto vi sorgono alcune costruzioni abitate.
Ponte di via Aliprandi 1976

Il ponte di via Aliprandi durante l'inondazione del 1976

Ponte di via Aliprandi 2000

Lo stesso ponte durante la piena del 17 novembre 2000

L'alternativa alla predisposizione di questa cassa è lasciare ugualmente inondare il Parco in caso di piena "eccezionale" (perché questo avviene comunque) scavando eventualmente una breccia nell'argine all'ultimo momento e con piena in corso (come si è fatto nei mesi di ottobre e novembre presso il ponte delle Catene) per far defluire in modo incontrollato nel Parco l'acqua che in caso di piena catastrofica rifluirebbe ugualmente in città non trattenuta da un argine a valle.

E a monte di Monza ?
A questo punto ci si potrebbe chiedere se è possibile trattenere una parte delle acque di piena del Lambro più a monte della città, in Brianza. In effetti sono state progettate casse di espansione nelle poche aree dove è possibile, vale a dire a monte di Briosco in quanto a sud di questa località il fiume scorre in una valle stretta con centri abitati e insediamenti a ridosso dell'asta fluviale.
I due maggiori invasi proposti nel 1998 dallo studio Paoletti in una relazione commissionata dalla Regione Lombardia sono ubicati rispettivamente nell'area limitrofa al fiume tra Merone e Briosco (volume 830.000 metri cubi) e sul torrente Bevera, che riveste un ruolo importante nell'«ingrossamento» del Lambro, a monte di Molteno (volume 300.000 metri cubi).
Per il bacino del Lambro che si estende più a monte vi è l'azione benefica del lago di Pusiano, nel quale, attraverso il canale detto «Lambrone», costruito nel 1817, il fiume si immette vicino a Erba (in precedenza il fiume scorreva in mezzo tra i laghi di Pusiano e di Alserio). Il lago agisce così da serbatoio, immagazzinando le acque di piena del bacino a monte e intrappolando i sedimenti trasportati.

Chi dovrebbe intervenire ?
La competenza sulle opere di riassetto idraulico dell'area del Lambro sono della Regione Lombardia dalla sorgente fino al ponte di S. Giorgio fra Biassono e Villasanta e del Magistrato per il Po a valle del medesimo ponte e quindi per il territorio del comune di Monza. La nostra città si trova pertanto al limite tra le competenze territoriali di due enti diversi: può succedere così che, paradossalmente, il citato studio commissionato dalla Regione Lombardia che suggerisce provvedimenti che hanno dirette conseguenze soprattutto per Monza, trascuri il nostro territorio comunale.
Per la realizzazione delle casse di espansione nel Parco penso vi debba essere il benestare dell'Autorità di bacino del Po, della Soprintendenza ai Beni ambientali e architettonici ed è giusto . «dicano la loro» anche le province, i comuni, il Parco della valle del Lambro, le circoscrizioni, e forse ancora qualche altro ente.
Sono dell'opinione che si debba por mano con sollecitudine alla realizzazione di queste casse di espansione, che potrebbero evitare gravi danni prodotti alla città da eventi meteorologici estremi (con questo termine vengono indicate le enormi quantità di pioggia che cadono in uno-due giorni), che sembrano diventare sempre più frequenti.

Pompeo Casati




foto Franco Isman - arengario.net
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dicembre 2000